E le startup? Le startup sono immuni?
Così sembrerebbe, analizzando i primi procedimenti di natura economica predisposti dalle istituzioni.
Certamente non sono asintomatiche. Giornate atipiche, febbrili, eppure statiche, di ricerca prospettica e di caccia incessante alla normalità gestionale, quando non all’ultima edizione di autocertificazione.
Rallenta l’attività: si riduce il numero delle mail, delle riunioni, dei contatti con il mercato. Si riaprono dossier, si affilano le armi in prospettiva di una ripresa che però non si intravede all’orizzonte.
Il tessuto industriale barcolla, il manifatturiero tenta di scongiurare un blocco completo, il terziario ritrova nello smart working una risorsa importante che la crisi ha reso procedura con ben più efficienza di qualsiasi pianificazione di lunga durata.
Ma non vale per tutti.
E allora che ne è di quelle realtà che, secondo il più classico dei paradigmi, corrono, sperimentano, rischiano più di tutte le altre, faticano fisiologicamente a perseguire un equilibrio stabile ma meglio delle altre sanno adeguarsi ai cambiamenti anche repentini… le startup?
Come vivono questa fase convulsiva quei micro-universi aziendali per i quali la paralisi potrebbe rivelarsi letali?
Due diversi attori dello scenario campano dell’innovazione, due amici, lo startupper d’origine accademica Flavio Farroni e il manager d’incubatore Massimo Varrone, hanno provato a mettere ordine ai loro pensieri espressi nei mille confronti a distanza di questi giorni, chissà se vi riconoscete nelle loro riflessioni.
La contingenza mostra una volta di più la solidità di un’intuizione, la veridicità di un sospetto: essere startupper è una categoria dell’anima, una matrice comportamentale unica, una declinazione evoluta dell’idea platonica dell’uomo che va a caccia per procurarsi il cibo.
Gestire un incubatore ti dà la possibilità di aprire sul tuo monitor decine di ideali telecamere differenti, la crisi colpisce in maniera difforme le varie arene competitive che le startup aggrediscono quotidianamente.
C’è chi subisce interamente l’affronto dell’interruzione di ogni circolazione, chi si ritrova a dialogare con un mondo nuovo che improvvisamente valuta attraenti i suoi modelli digitali, chi incarna i panni del salvatore della patria avendo optato da sempre per un modello erogativo che invita le persone a trattenersi tra le mura domestiche, chi si occupa di beni voluttuari e imposta il differimento dei suoi programmi in attesa di tempi migliori (ma non tutti i mesi sono uguali…).
Tutti però hanno lo stesso atteggiamento: una reazione rapida di adattamento, la conversione immediata del tempo in attività che producano valore oggi o domani, la definizione di modelli gestionali che limitino i danni e tutelino il posizionamento dell’azienda come player d’eccellenza che non sbraca.
Ho un indicatore privilegiato: il numero di documenti di progettazione pervenuti in questi giorni, ipotesi di lavoro approntate all’impronta o lasciate nei cassetti e che ora prendono forma e sostanza, con la grinta di Rino Gattuso e l’ottimismo di Sampei pescatore.
Il tutto all’interno di uno scenario esterno totalmente indecifrabile: chi si farà carico di portare sui tavoli istituzionali le istanze di un microcosmo a cui tutti si rivolgono per una soluzione fast&furious ma che resta sempre a piè di lista quando si fa il conto della serva per ripartire le risorse?
E cosa ne sarà di quel nuovo sentimento, propositivo e finalmente protagonista in positivo del mercato dei capitali di rischio, corrispondente finalmente a concrete dotazioni finanziarie per le startup In Italia? Quale sarà l’atteggiamento degli investitori, da qualche tempo alle prese con un cambio di paradigma che finalmente li esonerava dal ragionare in ottica di totale scarsità di risorse? Cosa ne sarà dei criteri di stima del valore aziendale, tema su cui già da tempo si dibatteva per evitare fantasie oniriche che poi inevitabilmente si scontano nelle fasi successive? E la ricchezza drenata dalle reti diffuse di raccolta (leggi crowdfunding) sarà ancora appannaggio di progetti imprenditoriali o sarà assorbita dai circuiti della solidarietà?
Apparentemente l’imprevisto va a minare la struttura delle startup già inserite in un ciclo operativo virtuoso, in cui la produzione di valore va a finanziare direttamente i programmi di investimento, perché è in queste che il ciclo finanziario rischia il coitus interruptus.
Poi c’è chi invece è totalmente proiettato a consolidare il suo business, a serrare i bulloni e in ogni caso non si sarebbe aspettato da questi mesi ritorni abbondanti in conto corrente. Questi hanno scritto in faccia il terrore del trapezista a cui hanno appena detto che stasera si esibirà senza rete.
Per tutti, si tratta probabilmente di fermarsi, rifiatare, valutare e implementare i comportamenti che in questi giorni pretendiamo dalla nostra classe dirigente: scegliere, con una visione.
La crisi ha disvelato senza possibilità di equivoco la necessità di muoversi in un regime di razionalità nell’impiego delle risorse, ma il pericolo è quello di scegliere in base all’emotività della condizione patologica, che potrebbe essere a tempo.
E’ il caso, ad esempio, di valutare la performance di un dipendente in condizioni così eccezionali?
E’ il caso di ripensare oggi al perimetro del proprio business quando l’abituale outsourcing mostra la corda per difficoltà di connessione?
Un sistema complessissimo in cui appare improbabile che il numero di equazioni pareggi il numero di incognite ma che può contare in quel pizzico di follia e nella curiosità della sperimentazione, che inevitabilmente abbondano nei nostri startupper.
Il cambiamento, per quanto inatteso, resta portatore incondizionato di innovazione. E le startup, ben note per l’attitudine a fornire una risposta efficace a rapidi cambiamenti, ritengo possano conferire una chiave di lettura positiva a questa fase, affrontandola traendone insperato giovamento. La chance di recuperare progettualità prospettiche, di riappropriarsi di funzioni R&D che troppo spesso, per eccesso di dinamismo e dedizione totale all’execution, finiscono inopportunamente in secondo piano, può trovare in queste giornate uno spazio importante.
Al suo fianco, la fase di stasi offre l’opportunità di dedicare tempo a processi di (ri)strutturazione interna, ad ulteriore vantaggio della sistematizzazione di dinamiche di smart working, che grazie all’attuale emergenza globale vive (finalmente!) una fase di significativo consolidamento. Non ultime, le possibilità di tirar fuori dai cassetti progetti che richiedevano un focus solitamente introvabile, e di standardizzare processi interni, potrebbero far uscire la startup “rafforzata” da queste settimane di reclusione.
Tema caldo: gestione della cassa. Una linea d’azione largamente “in voga” vede le startup come entità costantemente “on the edge” dal punto di vista finanziario, orientate ad investire l’investibile, con la ponderata consapevolezza che il rischio di uno stop inatteso possa rappresentare un elemento di crisi per le finanze. L’attuale situazione relativa al CoVid-19, estendibile ai contesti caratterizzati da crescente incertezza (climatica, geopolitica, o legata alla disponibilità di risorse), potrebbe farsi catalizzatrice di un parziale cambio d’approccio. Una visione più prossima a paradigmi di risk management, orientata ad una gestione di cassa che, al prezzo di un volume d’investimenti lievemente limato, contempli la creazione di sorte di micro-accantonamenti per emergenze, che garantiscano serenità dei dipendenti e del business per alcuni mesi nonostante arresti inattesi del mercato o della produzione, che nella fase attuale stanno rendendo il contesto startup tra i più delicati.
Ed in relazione al link con i fondi e gli investitori, ci si interroga sulla posizione di startup in fasi “calde” di negoziazione o chiusura di deal appena prima dell’emergenza sanitaria. Di chi, con un deal appena chiuso, rischi di ritrovarsi a non poter investire in una condizione di mercato ottimale l’accresciuta disponibilità economica. O di chi, trovandosi in imminente chiusura di un deal allo scoppiare della pandemia, viva queste settimane nell’incertezza sulle tempistiche della ripresa, con una cassa in contrazione, un investitore probabilmente propenso a rivedere le proprie posizioni ed al contempo con una stasi di mercato quantomai rischiosa.
C’è comunque da dire che diversi settori, probabilmente non direttamente connessi al comparto produttivo/manifatturiero, stanno operando in questi giorni con invariata lena. Su alcune verticali, gli effetti dei rallentamenti potranno manifestarsi con lieve delay, mentre alcuni segmenti di mercato (mi vengono in mente il settore health e quello delle piattaforme di connessione/comunicazione) potrebbero addirittura beneficiare degli spiragli aperti dai nuovi bisogni. E’ forse questo il valore di un contesto estremamente variegato, che aprirà nuovi scenari di investimento, in alcuni casi probabilmente estremamente vantaggiosi!
Infine, uno spunto sull’aspetto più “umano” di questa vicenda… una startup è probabilmente incertezza per antonomasia, propensione al rischio. Come gestire l’ulteriore incertezza nell’incertezza, legata a prospettive di “autoquarantena” di proporzioni non ancora chiare, ed a mercati internazionali che anche a livello macroeconomico hanno oggettive ed ovvie difficoltà nel fornire linee guida e progettualità chiare? Probabilmente, nel farsi forti dell’acquisire consapevolezza di elasticità. Comunque andrà, le imprese più agevolmente in grado di rendersi mutevoli ai cambiamenti, saranno proprio le startup. Con prospettive di crescita che probabilmente noi stessi non siamo ancora in grado di scorgere…